Trentacinquesimo dono: l’ultima volta che ho visto Baba (e mio padre)
I 108 doni dell'India
Me lo ricordo bene, quel giorno.
Il caldo a Puttaparthi era insopportabile. L’aria sembrava ferma, pesante, e io me ne stavo seduto all’ombra, nella zona dei cocchi, dentro l’ashram. Stavo bevendo lentamente l’acqua di un cocco fresco, nel tentativo di placare la sete che il clima implacabile continuava ad accendere.
All’improvviso, un pensiero si fece strada nella mia mente. Era semplice, ma tagliente come una lama: “Quando è stata l’ultima volta che ho visto Baba? Quando ho incrociato il suo sguardo?”
In quel periodo, il Maestro era ricoverato in ospedale. Non potevamo più vederlo. Tutti noi vivevamo sospesi, attoniti, come se fossimo stati improvvisamente privati della luce che ci guidava. Non riuscivo a trovare una risposta. Non ricordavo l’ultima volta. Non un giorno, né un gesto. Nulla.
E come spesso accade, la mente – che sa come infilarsi nelle nostre crepe – rilanciò con un’altra domanda: “E tuo padre? Quando ti ha parlato per l’ultima volta prima di lasciare il corpo?”
Cercai di dare una risposta concreta, se non altro per mettere a tacere quel chiacchiericcio interiore. Ma niente. Nemmeno lì riuscivo a trovare un momento preciso, una scena da incorniciare. Cadde su di me un velo di tristezza. Uno sconforto silenzioso, durato qualche giorno.
Chi di noi si ricorda davvero l’ultima volta che ha parlato con qualcuno? Quando è stato l’ultimo sguardo, l’ultimo abbraccio, l’ultima parola prima che quella persona uscisse dalla nostra vita?
Poi, una mattina, accadde qualcosa.
Dopo una lunga meditazione, un senso profondo di serenità si fece spazio in me.
E in quello spazio calmo, qualcosa dentro di me rispose. Non con una data. Non con un’immagine precisa. Ma con chiarezza. Il problema non era ricordare cronologicamente. Il problema era aver lasciato alla mente l’ultima parola.
La verità è che la risposta era – ed è – nel presente.
Non abbiamo bisogno di annotare tutto: date, orari, ultime volte. Non serve tenere un’agenda spirituale. Ciò che conta davvero è essere presenti.
Perché anche se non posso ricordare l’ultima volta in cui ho visto Baba, posso sentire – qui, ora – la gratitudine, l’intensità, la vibrazione che mi ha lasciato.
E anche se non so dire qual è stato l’ultimo giorno con mio padre, posso rivivere il calore dei momenti vissuti con lui.
Essere presenti è il più grande atto d’amore che possiamo fare verso la vita.
La verità è che vivremo molte "ultime volte". Alcune le riconosceremo. Altre passeranno inosservate, come un soffio. Ma ogni volta che siamo pienamente lì – presenti, aperti, intensi – quella presenza resterà con noi per sempre.
Non abbiamo bisogno di segnare tutto nel calendario della nostra vita.
Abbiamo bisogno di non distrarci. Perché spesso le cose che ci preoccupano, ci agitano, ci fanno correre… sono le stesse che non ricorderemo mai. Mentre un istante vissuto davvero – anche solo uno – può accompagnarci per l’eternità.
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Quando hai tante "primavere" capita di tornare indietro nei ricordi. Spesso accade di ricordare alcuni momenti, alcune ultime volte con tante persone: i genitori, alcuni parenti, gli amici, che non ci son più. Pensandoci con attenzione vengono alla mente gli ultimi minuti passati insieme, ma subito dopo arrivano i momenti belli vissuti con loro; l'affetto e l'amore dato e ricevuto; tutta la strada percorsa insieme. Ed è questo che conta. Grazie Richard per darmi e darci tanti spunti di riflessione.
Grazie, ogni tuo post è un dono prezioso 🙏🏻